Nel calcio italiano si parla sempre più di filiere, progettualità, scouting e valorizzazione del talento giovanile. Eppure, in Serie D, campionato da sempre considerato terreno fertile per la crescita dei calciatori emergenti, il sistema sembra essersi inceppato. I giovani ci sono, ma faticano a salire di livello. Il motivo? Manca una rete strutturata e una cultura realmente orientata allo sviluppo.
Lo conferma Luca Tardivo, ex calciatore dilettante, oggi allenatore UEFA B e responsabile di un’agenzia di scouting, con collaborazioni all’attivo con club di Serie A, B, C e D. «Nei dilettanti — spiega — ci sono ragazzi fortissimi, ma spesso restano nell’ombra. Senza osservazione attenta e strutturata, il talento non emerge». Tardivo, nel solo quadriennio recente, ha segnalato giovani poi approdati in Lega Pro e persino in Nazionale U21.
Il paradosso è che la Serie D impone l’utilizzo di under per almeno il 30% dei minuti stagionali, ma pochi club trasformano questo obbligo in opportunità. Troppo spesso i giovani vengono inseriti solo per “coprire” ruoli marginali, senza vera fiducia, né un percorso tecnico disegnato su misura. La causa? «Mancanza di visione, tempo e competenze», sottolinea Tardivo. «La maggior parte dei dirigenti dilettanti non vive il calcio come professione, ma come attività collaterale. Così manca progettualità».
Nel dilettantismo non servono solo regolamenti, ma figure professionali in grado di riconoscere e accompagnare la crescita. «Uno scout — evidenzia Tardivo — sa leggere potenziale tecnico, fisico e mentale. Non si limita al curriculum, ma va oltre il dato. Così si costruisce un progetto». Un vero scout, insomma, è in grado di scovare un attaccante di Promozione con qualità da Serie C prima che lo notino tutti. Ma oggi è ancora una figura troppo sottovalutata, soprattutto nei club dilettanti.
Le Rappresentative LND, ad esempio, sono la prova che il talento esiste: ogni anno, un terzo dei convocati approda tra i professionisti. Ma è un sistema ancora troppo estemporaneo. «Bisognerebbe creare filiere territoriali, non solo vetrine occasionali. Il ragazzo bravo va seguito, integrato e accompagnato», afferma Tardivo. E questo presuppone investimenti, competenze e — soprattutto — cultura.
La Serie D rischia di diventare sempre più un rifugio per reduci, anziché una palestra per i giovani. Il problema non è la qualità, ma l’assenza di un sistema che osservi, creda e investa. «Serve una rivoluzione culturale — chiosa Tardivo —. Solo così si potrà tornare a vedere un giovane protagonista in prima squadra non per obbligo, ma per merito. Il talento c’è. Basta andarlo a cercare».
Finché si continuerà a preferire la sicurezza apparente all’investimento sul futuro, la Serie D continuerà a sprecare il suo patrimonio più prezioso: i giovani. E con loro, un pezzo importante del futuro del calcio italiano.
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